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IL SIGNORE DEGLI ANELLI - IL RITORNO DEL RE
(LORD OF THE RINGS: THE RETURN OF THE KING)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 26 gennaio 2004
 
di Peter Jackson, con Elijah Wood, Viggo Mortensen, Ian McKellen, Liv Tyler, Miranda Otto, John Noble, Sean Astin, Cate Blanchett, Ian Holm, John Rhys-Davies (Nuova Zelanda - Stati Uniti, 2003)
 
L RITORNO DEL RE è il terzo, e ultimo episodio de IL SIGNORE DEGLI ANELLI. E' anche il più lungo, tre ore e dodici minuti. Era forse il più atteso: poiché, si diceva, occorreva aspettare la parola fine della trilogia per giudicare l'organicità di una impresa ritenuta impossibile. Portare sullo schermo la gigantesca saga letteraria di Tolkien: ragnatela composta d'infiniti rinvii, nella complessità dei quale il fatto di perdersi poteva rappresentare una sorta di piacere. Sarà l'episodio più facile, assicurava il regista Peter Jackson stesso: il culmine, l'apoteosi di tutte le storie avviate (più che brillantemente) in precedenza.

Tutto, fuor che facile. Perché ricondurre, in perfetto parallelismo cinematografico, Frodo con il suo Anello da gettare nelle viscere del vulcano di Mordor per annientarne il potere malefico, Gandalf e compagni che partono al galoppo a sostegno dell'assediato Denethor, e ancora Aragorn che finirà per sposare la sua regina degli Elfi, Legolas o Gimli che si uniscono ai cavalieri di Rohan, costituiva un rompicapo probabilmente sottovalutato. Non è esattamente con mano leggera, insomma, che gli sceneggiatori del terzo episodio hanno operato per far coincidere i tempi letterari con quelli cinematografici; e di certo, un po' troppo hanno preteso dalla memoria dello spettatore. Balzi in avanti ed all'indietro nel tempo, citazioni, allusioni. Un caleidoscopio di riferimenti che saranno pure mitici; ma nei quali un malaugurato arrischia di perdersi ad immagine dei viandanti di quelle infauste contrade..

Fortunatamente, tra le fatiche dello sviluppo di un aneddoto e l'altro si torna sotto le mura di Minas Tirith, la capitale di Gondor. Come dire, a quanto ci aveva incantato in precedenza: l'arte della dismisura, della fusione fra effetti della natura ed invenzioni del digitale, fra reminiscenze della grandiloquenza cinematografica più nobile alla De Mille, King Vidor, Fritz Lang o Kurosawa e riferimenti postmoderni di un delirio figurativo che da Paolo Uccello o i preraffaelliti si affida alle illuminazioni di Böcklin ed agli spazi alla Gustavo Doré citando impunemente Shakespeare.

Parlare di dismisura è allora riduttivo: tutto, dalla dimensione degli eserciti alla mostruosità dei personaggi, dalle macchine da guerra al bestiario scatenato, dall'assurdità delle architetture alla deriva dei costumi è condotto fino al parossismo. Confrontato alla laboriosità della costruzione drammatica, a tanta sovrabbondanza formale lo spettatore potrà anche abbandonarsi ed affidarsi, rimanendone affascinato. Oppure irritarsi: ed a quel punto accoglierà la parola fine con un certo sollievo. Ripromettendosi di rivedere il tutto; magari in DVD, con le promesse di ulteriori e forse utili sequenze esplicative per i più coraggiosi.


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